Il ruolo delle associazioni nella cura dei beni comuni: il caso Masseria Boncuri

Cura e rigenerazione dei beni comuni. “L’occupazione” di uno spazio pubblico come una particolare forma di uso collettivo e di gestione partecipata del bene.

Associazione Partner

Associazione ospite




Data: Sabato 16 novembre 2019 ore 18.00
Luogo: Chiostro dei Carmelitani, Via Vittorio Emanuele II – Nardò (LE)
Area tematica: Cura di spazi e beni collettiviPianificazione urbanistica

Diritti a Sud nasce con l’obiettivo di integrare e difendere i diritti della comunità di migranti impegnati stagionalmente nel lavoro agricolo, e per contrastare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro. Rispetto all’incontro, l’Associazione svilupperà la tematica relativa alla cura e rigenerazione dei beni comuni, con un particolare riferimento alle pratiche di auto-gestione degli spazi collettivi, intese come forme di gestione partecipata del bene.  A sostegno di questo incontro, l’Associazione Oikos Sostenibile porterà la propria esperienza e buona pratica legata alla gestione e valorizzazione della Stazione Sud Est di Otranto, insieme ad altri progetti improntati sulla sostenibilità ambientale e collettiva.

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Contesto tematico

Il focus tematico sul caso della Masseria Boncuri di Nardò (LE) consente di sviluppare una serie di scenari possibili legati alla cura dei beni comuni da parte di associazioni, alla capacità delle stesse di definirne la destinazione d’uso sociale. Il progetto di fruizione della masseria Boncuri, sperimentato dall’Associazione Diritti a Sud, è legato all’attività di accoglienza e integrazione degli immigrati e/o richiedenti asilo sul territorio comunale.

Diritti a Sud nasce come associazione i cui obiettivi sono quelli di tutelare i diritti della comunità dei migranti impegnati stagionalmente nel lavoro agricolo, di contrastare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro delle fasce socialmente più deboli attraverso forme di autogestione del lavoro.

Con la collaborazione della “Rete di Altro Mercato”, l’Associazione ha intrapreso un progetto di cittadinanza attiva e si è specializzata nella produzione di salsa di pomodoro con il marchio “SfruttaZero” trasmettendo, insieme allo spirito di iniziativa economica, i principi di giustizia sociale e legalità.

La condivisione del patrimonio pubblico può essere vista e usata come una leva per favorire lo sviluppo del capitale sociale ed economico: l’Ex Fadda di San Vito dei Normanni rappresenta un esempio di co-gestione di uno spazio pubblico in cui ideare e realizzare progetti per la comunità, sviluppando piccole economie.

L’idea comune è che si può rigenerare il territorio attraverso il recupero e il riutilizzo di beni pubblici dismessi (ex caselli ferroviari, ex case cantoniere, ex stabilimenti produttivi) che diventano veri e propri incubatori di nuove attività e attrattori sociali.

L’esperienza positiva di forme autonome di creazione e di inclusione lavorativa rappresenta una risorsa strategica per la messa in valore dei beni pubblici inutilizzati e per la crescita della comunità. Affidare o legittimare forme spontanee di occupazione di spazi pubblici è una strada che vale la pena percorrere nella programmazione di un territorio? Come sostenerle o favorirle?

Il territorio di Nardò, nel suo entroterra, è caratterizzato dalla presenza di numerose masserie intorno alle quali si estende la campagna. L’esperienza avviata dall’ associazione Diritti a Sud nella conduzione dell’immobile di proprietà dell’Ente Pubblico evidenzia l’importanza dei luoghi di aggregazione e animazione sociale, ma anche le difficoltà che spesso sorgono durante la gestione di un immobile pubblico, specie se al di fuori di una visione comune.

All’incontro, l’Associazione Diritti a Sud svilupperà la tematica relativa alla cura e rigenerazione dei beni comuni, con un particolare riferimento alle pratiche di auto-gestione degli spazi collettivi, intese come forme di gestione partecipata e volontaria del bene. L’Associazione ospite, Oikos Sostenibile, esporrà la propria esperienza sulla gestione e valorizzazione della Stazione Sud Est di Otranto, insieme ad altri progetti sulla sostenibilità ambientale.

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Sintesi dell’incontro

All’incontro hanno partecipato cittadini e rappresentanti di associazioni del territorio, vicine alla tematica presentata; scarsa la partecipazione dei partner istituzionali.
Dopo una prima introduzione da parte dell’Associazione Coppula Tisa, promotrice del percorso partecipato, l’Associazione Oikos ha esposto la sua esperienza riguardante la gestione condivisa del bene pubblico.
Nello specifico, ha riferito di aver partecipato nel 2015 al Bando regionale per l’affidamento dei beni demaniali – le stazioni ferroviarie abbandonate tra gli anni ‘60 e ‘70 – allo scopo di valorizzarli.

L’Associazione, entrata in possesso dell’antica stazione di Otranto, per far fronte alla mancanza di fondi per la ristrutturazione, ha dato vita ad una gestione condivisa del bene coinvolgendo le realtà associative interessate al suo utilizzo. Il lavoro volontario e condiviso, ha permesso la realizzazione di una locanda per turisti e viaggiatori.

Un’altra esperienza è quella descritta da Roberto Covolo, coordinatore delle attività di “Ex Fadda”, un ex stabilimento enologico a San Vito dei Normanni dismesso da molti anni e trasformato in uno spazio culturale. Oggi, con questa esperienza alle spalle, amministra il Comune di Brindisi.
Roberto Covolo ricorda l’avvio del progetto “Usa Brindisi” pensato per favorire l’utilizzo, da parte della comunità, del patrimonio dismesso della città.

I cittadini hanno dimostrato di poter essere co-produttori dei beni di servizio. Questa stessa logica è stata adottata anche per i parchi pubblici. L’idea principale è stata quella di creare comunità con la cittadinanza e di condividere la produzione di utilità pubblica secondo una logica sussidiaria.

Al tempo stesso è stata evidenziata una criticità riguardante la gestione di questi beni per i quali il solo bando di affidamento non è sufficiente, occorrerebbe invece creare una comunità accogliente.
Per la gestione di questi progetti le reti solidali divengono importanti.
I beni pubblici per generare cultura e socialità, devono essere socializzati all’interno di un territorio, altrimenti il patrimonio di natura privata e pubblica potrebbe ritrovarsi in uno stato di abbandono.
Roberto Covolo prosegue affermando la necessità di una strategia nazionale, che metta gli enti locali in condizioni di avviare sperimentazioni che restituiscano al bene pubblico un senso collettivo di appartenenza comunitaria, e di creare luoghi condivisi, di lavoro, di ricerca e di progettualità.

Un altro intervento riguarda la realizzazione di uno Spazio di mutuo soccorso realizzato a Bari. Questa esperienza riprende quelle realizzate nell’’800 dove i lavoratori mettevano insieme una parte dello stipendio per creare una cassa di mutuo soccorso per aiutare i colleghi che ne avevano bisogno o chi si ritrovava senza un lavoro. In questa pratica non esiste un collettivo politico che gestisce lo spazio, ma sono solo un gruppo informale di persone che condividono responsabilmente uno spazio comune.

L’esperienza della Masseria Boncuri evidenzia il valore sociale generato dalla gestione condivisa del bene. Nel caso specifico, infatti, ha incentivato l’occupazione giovanile della comunità e ha sperimentato un modello inclusivo di accoglienza per immigrati.

Nel dibattito si è poi toccato il valore immateriale prodotto dalle azioni messe in campo, evidenziando come questo valore – nonostante incida positivamente sulle politiche delle istituzioni pubbliche – non sia quantificato economicamente.
A questa provocazione risponde l’unico amministratore pubblico partecipante, suggerendo alle associazioni presenti di quantificare le ore di lavoro umano per tradurre il valore sociale in valore economico.

Si chiude il dibattito con l’augurio di ripetere questa esperienza di confronto tra associazioni.

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Conclusioni e proposte

1) In attuazione del principio di sussidiarietà favorire l’aggregazione di soggetti della società civile per sperimentare nuove finalità d’uso legate alla gestione autonoma e condivisa dei beni di proprietà dello Stato o anche privati.

2) Creare e adottare dei dispositivi per la capitalizzazione del lavoro sociale impiegato nel recupero del bene da compensare con l’offerta di servizi e risorse a supporto dei costi sostenuti dalle associazioni nella gestione.

3) Creare un Forum da convocare periodicamente tra associazioni impegnate nella gestione di questi beni, per scambiare buone pratiche, condividere difficoltà e mettere in rete risorse.

Analisi dell’incontro

Curata dal Dott. Giuseppe Gaballo – Ricercatore Università del Salento Dip. di Storia Società e Studi sull’Uomo sulla base della registrazione audio degli interventi

Sesto incontro. Il ruolo delle associazioni nella occupazione di uno spazio pubblico

La spiegazione introduttiva del motivo e dei contenuti dell’incontro è esemplare. Oltre alla presentazione dell’intero progetto, si cerca di far capire quanto è importante saper identificare l’oggetto dell’intervento, partendo dalla chiarificazione del termine “bene comune”. Questo perché l’incontro si basa sull’appropriazione di un bene pubblico da parte di un’associazione in produttiva collaborazione con le istituzioni. Si accenna tra l’altro alla presenza di un assessore del Comune di Brindisi, che è stato testimone attivo di esperienze associative.

Si prosegue con il racconto dell’esperienza da parte di “Oikos” di appropriazione tramite bando della vecchia stazione ferroviaria di Otranto con l’obiettivo di promuovere forme di turismo sostenibile. Tiene a sottolineare che nel bando non erano previsti fondi e il bene era messo architettonicamente male, per cui per un anno hanno dovuto fare da sé recupero edilizio dello stabile. Per andare oltre il turismo di massa hanno dato vita a una locanda che dà ristoro ai turisti, dove poter riposare e riprendere il viaggio. Il punto di forza è anche nel fatto che la loro non è l’unica realtà associativa a curarsi del bene, perché lo stabile è disponibile per chiunque voglia usarlo per organizzare incontri, laboratori, workshop, ecc.. Gestire il bene, afferma, con la collaborazione delle altre associazioni non è semplice, ma si ha voglia di crescere e imparare, armandosi di buona volontà e coraggio. Si ripete più volte la fatica e le ingenti risorse emotive e cognitive impiegate non solo per la gestione di un bene pubblico, ma soprattutto per realizzare una fertile compartecipazione tra realtà associative.

La rappresentante dell’associazione è cristallina nello spiegare la situazione e gli obiettivi: chiarisce cosa intendono con turismo sostenibile; quest’ultimo punto è virtuoso di per sé, visto che questo termine viene quasi dato per scontato con il rischio di snaturarne il senso. Sottolinea infatti che tramite la locanda vuol promuovere la visitazione del territorio dell’otrantino – 6 percorsi – evitando veicoli a motore al fine di far esperire pienamente le bellezze paesaggistiche e con queste pervenendo alla conoscenza della zona. L’esperienza turistica si fa ancor più esaustiva perché si chiede ai turisti-viandanti di raccontare la propria esperienza e, in particolare, gli incontri con gli altri sia autoctoni sia visitatori.
In un ulteriore intervento si elogia il lavoro compiuto da “Coppulatisa”, che consente di stimolare idee e rafforzare motivazioni e, al contempo, gettare le basi per la creazione di una rete solida e più o meno fissa. Si lascia intendere che il territorio salentino gode di moltissime associazioni, ma molte sono restie a far veramente rete.

Molto interessante la promozione dell’iniziativa fatta da un politico, l’assessore del Comune di Brindisi, unico rappresentante istituzionale presente e applaudito, vista l’assenza perdurante di questa categoria. L’assessore racconta di un progetto, “UsaBrindisi”, avviato per utilizzare parte del patrimonio dismesso della città come luoghi per progetti di comunità e per sperimentare un modello di sviluppo del territorio nonostante le restrizioni economiche, favorendo il capitale sociale. L’idea principale, quindi, è creare comunità con la cittadinanza attraverso forme di creazione condivisa secondo una logica sussidiaria. Accenna al fatto che per intraprendere questo percorso si sia rifatto ad altre esperienze pugliesi – il ricorso alle buone pratiche, insomma – e sia necessaria anche una comunità propensa a lavorare in modo “artigianale”. Usa questo termine forse per intendere che queste esperienze non sono ben strutturate, ma tentativi per capire se le cose possono andare per il verso giusto. L’utilizzo produttivo del bene, quindi, non è il principale obiettivo, perché al centro delle preoccupazioni del progetto è la creazione di una palestra di vita in cui far esercitare molti cittadini alla cooperazione, al lavoro e alla progettualità condivisi, affinché si possano creare abitudini comportamentali e cognitive adatte allo sviluppo nei partecipanti di strutture fisse di intervento sul territorio, ossia associazioni e cooperative.

Il racconto esprime un’idea – più che un progetto – molto interessante e proficua. Tuttavia, si lascia molto al caso e all’imprevedibilità dell’animo umano. Certamente si è creata qualche realtà associativa, ma – mi chiedo – quante altre risorse sarebbero state coinvolte se l’azione comunale fosse stata costruita strategicamente con il supporto di istituzioni qualificate ad attivare percorsi sociali specifici e di comunità? Per risorse non s’intende solo il capitale umano, ma anche le idee per realizzare pratiche migliori o raggiungere finanziamenti più cospicui. Inoltre, è bene stare attenti all’uso che spesso si fa delle varie forme di volontariato da parte delle istituzioni politiche: può capitare che sotto l’ombrello della valorizzazione della sussidiarietà, si nasconda qualche forma di sfruttamento delle energie e delle risorse gratuite della cittadinanza.

Stimolante e rassicurante anche l’intervento del giovane che racconta come a Bari si sia creata una realtà di mutuo soccorso per lo sviluppo di immobili rurali. Non si tratta di un collettivo politico, ma di autogestione sull’esempio delle esperienze avute a partire dal XIX secolo: aiutare con le proprie risorse chi è in difficoltà con il lavoro o chi lo ha perso. Anche in questo caso si tratta di pratiche dal basso che hanno avuto difficoltà per l’assenza iniziale delle istituzioni.
Non di solidarietà a fini produttivi, ma di pura accoglienza nel progetto successivamente presentato con supporto audio-video. Si tratta di autogestione di masserie per andare incontro a immigrati in forti difficoltà anche perché spesso soggetti a sfruttamento per i lavori stagionali nella zona di Nardò, tristemente nota per le forme violente di caporalato. È certamente un’esperienza di altissimo livello etico, perché va in controtendenza con l’attuale sentimento di intolleranza pervasivo nella nostra società pugliese e salentina, nello specifico, che fino a 15 anni fa era stata proposta per il Nobel alla pace per l’accoglienza dimostrata nei confronti di persone in fuga dalla ex Jugoslavia. L’intervento della ragazza però non è andato in profondità nel chiarire i meccanismi istituzionali che si sono attivati in positivo e in negativo e di come abbia risposto la cittadinanza; si accenna solo a un affidamento diretto da parte del Comune di Nardò. Uno dei gestori della masseria risponde a questo quesito, quando viene stimolato dalla domanda di una convenuta all’incontro. Tuttavia, non precisa come mai l’Amministrazione comunale abbia affidato proprio a loro quel bene; piuttosto si dilunga sull’opportunità di cogliere quell’occasione e sulle difficoltà che hanno dovuto affrontare. Emerge solo il fatto che l’associazione era già conosciuta per la sensibilizzazione sullo sfruttamento degli immigrati e aveva denunciato più volte cosa accadeva nelle campagne neretine.

Molto produttivo, anche se breve, l’intervento di un giovane. Rappresenta l’associazione “Diritti a Sud” e precisa subito dell’esistenza di una legislazione che regolamenta i beni pubblici, soprattutto quelli che sono etichettati come beni culturali e storici. Occorrerebbe a tal proposito uno sforzo, lascia intendere, da parte delle associazioni interessate a far valere quegli strumenti giuridici per stimolare e imporre, in certi casi, le amministrazioni locali ad attivare percorsi virtuosi perché la comunità si attivi con progetti utili e lungimiranti. Torna insomma il richiamo al ruolo di catalizzatori rivolto agli EE.LL. per permettere alle energie sociali di sprigionarsi e organizzarsi in solide realtà produttive per lo sviluppo territoriale.

Il discorso sulle masserie tardo-medievali o del periodo rinascimentale è molto importante per quattro motivi: il primo è nella possibilità che questi beni divengano oggetto di creazione di posti di lavoro per le comunità locali; secondo, perché trattasi di beni molto grandi e quindi con ampie possibilità di utilizzo; terzo, perché possono facilmente entrare nel circuito del mercato internazionale attraverso il settore turistico; in ultimo e collegato all’accenno sul turismo, è un bene che riflette una parte importantissima dell’identità storica del paese. Fondamentali per attivare un meccanismo virtuoso sono i PUG, Piani Urbanistici Generali, che consentono di dirottare la destinazione d’uso di beni anche rurali.
Ultimo quesito che voglio mettere in risalto ed emerso dall’intervento di un rappresentante di “Coppulatisa” è il valore sociale messo in campo dalle associazioni, che non viene assolutamente preso in considerazione dalle amministrazioni. La risposta dell’assessore di Brindisi è quella di monetizzare quel valore. Questa risposta è piuttosto importante, perché compensare economicamente un valore sociale (lavoro di volontariato, partecipanti, azioni attivate sulla base dell’esperienza di intervento sul territorio, ecc.) può attivare una serie di azioni proficue che concretizzerebbero fattivamente il principio della sussidiarietà, limitando così lo sfruttamento del volontariato di molti cittadini impegnati da parte degli EE.LL.. D’altro canto, si riuscirebbe anche a tamponare in parte l’emorragia di risorse inutili per progetti che muoiono dopo solo qualche anno e non portano a risultati a lungo termine. Occorrerebbe lavorare molto su questo principio, perché non si comprende che il volontariato è diventato in qualsiasi forma uno strumento utilizzato dallo Stato per defilarsi dai suoi doveri di welfare.

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Il racconto di Vito Panico

Gallery: un osservatorio partecipante
Esiti del processo
Associazioni e incontri
Istituti Scolastici
Sintesi del progetto

Progetto Gallery: un osservatorio partecipante – avviso pubblico Puglia Partecipa – scadenza gennaio 2019 – Legge Regionale sulla partecipazione N. 28 del 13 luglio 2017.


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