10 anni di festival, tra creatività, innovazione e sostenibilità

 

Il turismo è un’attività che ha la stessa importanza dell’industria e del commercio, è interessato da esportazioni e investimenti giganteschi. Ciò nonostante, per la maggioranza dei nostri contemporanei, “fare turismo” è solo sinonimo di vacanza.

Il fenomeno turistico non è rimasto immutato nel corso del tempo, ma si è diffuso nel corpo sociale in modo graduale e multiforme, attraversando diverse fasi: dal’epoca del cosiddetto “prototurismo” fino al “turismo di massa”, alla portata di (quasi) tutti i ceti sociali e caratterizzato dall’ampliamento della gamma e della quantità dei servizi e delle infrastrutture turistiche. Questi cambiamenti, se da un lato hanno portato ad una graduale “democratizzazione del turismo, dall’altro hanno condotto a conseguenze irreversibili dal punto di vista sociale, ambientale, economico e culturale. Si pensi ai danni ambientali prodotti dai crescenti flussi turistici, alla creazione di conflitti intra e inter generazionali, all’aumentato rischio di “dysneificazione” dei luoghi e di “macdonaldizzazione” della cultura, a fenomeni quali il leakage che permette l’arricchimento delle multinazionali a discapito della comunità locale.

A Venezia ci si arriva direttamente con le grandi navi da crociera, per farsi salutare dai turisti che bevono un caffè a 30 euro in piazza San Marco. Perchè camminare stanca, tanto più se ci sono i gradini tra le calle e il rischio di cadere nell’acqua putrida in cui comunque qualche turista non rinuncia a tuffarsi.

Sui ghiacciai ci sia arriva in seggiovia, come in Valle d’Aosta, a Cervinia, sul Plateau Rosa, dove – a 3.600 metri d’altezza – è stata inaugurata la nuova funivia, dal design ipertecnologico: spettacolari cabine da 120 posti, che sovrastano 25 km di piste sul versante svizzero. E all’uscita della stazione di arrivo della funivia un parco giochi per bambini, dotato di tapis roulant. Mentre gli adulti prendono il sole nell’ampio e naturale dehors da cui si diramano gli impianti della zona.

D’altra parte nel 2005 a Dubai, nel deserto degli Emirati Arabi Uniti, era  stato inaugurato un impianto rivoluzionario, una pista da sci al coperto capace di mantenere la temperatura a -1 durante il giorno, a -6 durante la notte per produrre neve. Mentre la Cina sta già tagliando la calotta polare artica per evitare il passaggio a nord ovest e i dazi del canale di Suez, anticipando lo scioglimento dei ghiacciai e (chissà) aggiudicandosi un indotto fu-turistico.

E c’è ancora chi definisce il turismo un’industria leggera! Ad oggi il settore Viaggi e Vacanze, con il suo indotto, contribuisce al 10,2% del PIL italiano, con 2,6 milioni di occupati totali.

Di certo, se pensiamo che sono oltre un miliardo i turisti a livello globale, ci sono potenzialità enormi per il nostro Paese, che nell’immaginario collettivo globale continua a essere il più desiderato come meta turistica, ma nei fatti è (solo) il quinto paese per arrivi internazionali. D’altra parte la carenza di infrastrutture, di regia nazionale, di governance partecipata, di cura della comunicazione e tutela e valorizzazione del territorio – solo per citare alcuni tra i mali endemici del Bel Paese – giocano la loro cattiva parte.

Si pensi solo al fatto che continuano a crescere i siti Unesco e siamo al primo posto nel mondo per il loro numero. Lungo l’arco della penisola italiana sono 53 siti patrimonio dell’umanità riconosciuti come aree registrate nella World Heritage List, della Convenzione sul patrimonio mondiale. 53 luoghi speciali, pieni di fascino e identificati come luoghi di eccezionale importanza culturale o naturale.

Tuttavia, il nostro è tra i Paesi che spendono meno per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale. Lo conferma da anni il Rapporto Bes di Istat che mette a fuoco il benessere equo e sostenibile in Italia, evidenziando come il paese della bellezza è anche quello dove si è ridotta sensibilmente la spesa pubblica destinata alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale e continua a crescere – sia pure nel contesto di una generale contrazione della produzione edilizia – il tasso di abusivismo.

Non stupisce, pertanto, che aumenti la quota di italiani – soprattutto fra i giovani – che si dichiarano insoddisfatti del paesaggio del luogo di vita, ritenendolo “affetto da evidente degrado”: uno su cinque in Italia, con punte di uno su quattro nelle regioni del meridione.

 

Il turismo incarna tutte le contraddizioni e i paradossi prodotti dalla stessa modernità. Rappresenta un agente di trasformazione di tutti gli aspetti connessi alla dimensione spaziale (sia materiale che immateriale). Dai rapporti dell’uomo con la natura alle relazioni con gli altri esseri umani.

L’analisi delle pratiche turistiche ci permette di mappare l’emergere di un mondo dove la mobilità assurge al rango più elevato tra i valori che danno prestigio, e la stessa libertà di movimento, da sempre una merce scarsa e distribuita in maniera ineguale, diventa il principale fattore di stratificazione sociale.

Ciò che appare come conquista di globalizzazione per alcuni, rappresenta una riduzione alla dimensione locale per altri. Lo vediamo ogni giorno nel mare che cinge le nostre coste, divenuto teatro di diaspore e conflitti, di speranze naufragate sotto forma di stragi, di traffico di essere umani, di arresti e di solidarietà. Non solo luogo geografico, ma immaginario mutevole che contribuisce a influenzare la percezione dell’altro. A volte rappresentandolo come prossimo, simile, fratello dell’altra sponda. Altre categorizzandolo come alieno, disumanizzandolo, e alimentando così una indifferenza, quando non vera e propria xenofobia, che finisce per considerare inevitabili le tragedie del mare prodotte dalle politiche di respingimento.

Basta seguire le rotte dei traghetti che da Brindisi viaggiano direzione Patrasso, con i volti dei passeggeri ansiosi di mettere a mollo le loro carni unte di creme e rassodate da un tempo libero dedicato alla cura del corpo, o la scia delle crociere appesantite dall’aria condizionata e dai buffet a disposizione 24 ore su 24, e confrontarle con le partenze notturne di precarie imbarcazioni libiche o tunisine stipate di esseri umani che hanno atteso mesi per essere presi a bordo in massa, accompagnati dalla sola speranza di non finire risucchiati nelle viscere del mar Mediterraneo.

 

Le rotte del Mediterraneo disegnano un mondo diviso tra “turisti” e  “vagabondi”, che come sostiene Bauman, rappresentano l’uno l’alter ego dell’altro, con la differenza che il vagabondo è legato con catene doppie alla territorialità, umiliato dall’obbligo di dover restare fermo, a fronte dell’ostentata libertà di movimento degli altri.

Vagabondo è colui da bandire, il clandestino e il barbone dalla strada, lo zingaro e il migrante, il clochard e il richiedente asilo, criminalizzandolo e confinandolo negli hot spot o in lontani ghetti dove non si va, chiedendone l’esclusione, l’esilio o l’incarcerazione. Vagabondi sono tutti gli stranieri morti senza nome, annegati nel tentativo disperato di raggiungere l’Europa. Vite «non degne di lutto» le definisce Judith Butler.

Se il vagabondo invidia la vita del turista e vi aspira, a sua volta il turista, nella sua fascia media, ha il terrore che il suo status possa cambiare all’improvviso. Per quanto affamato di diversità durante la vacanza, di quell’esotico che permette di rompere con la noia del quotidiano, il turista di ritorno a casa vive il diverso come minaccia, l’incubo che risveglia il rischio della precarietà e l’odore amaro della sconfitta.

Diverso è lo straniero, vissuto come totalmente alieno, extra. Ridotto e relegato a categorie generali, quali i profughi, i clandestini, gli irregolari, rimarca la logica amico-nemico, creando un solco tra noi e loro che diventa cognitivo e morale, oltre che fisico e sociale. In un’Europa che riconosce lo stato di diritto esclusivamente a chi possiede la cittadinanza comunitaria, producendo così particolarismo ed esclusione, i processi di etichettamento che categorizzano lo straniero come estraneo pericoloso o vittima da compatire contribuiscono a incasellare chi tenta di raggiungere le sponde della fortezza Europa nei contenitori culturali e giuridici da noi artificiosamente elaborati. Gli stessi contenitori che contrassegnano la traversata del turista e l’avventura del vagabondo, per il quale il mare Mediterraneo diventa muro, barricata, espressione della discrepanza tra il fuori e il dentro, la materializzazione di una chiusura identitaria che porta alla scomparsa dell’altro, alla sparizione di quell’alterità senza la quale le identità non hanno più un’esistenza sociale.

 

Possibile pensare insieme queste categorie distinte? La comunicazione è fondamentale, dato che costruisce socialmente la realtà. E sia la cooperazione che il turismo (meglio se responsabile) sono entrambi media, canali che mediano la nostra relazione con l’altro e con l’altrove. Lontano e vicino a casa.

Per questo, piuttosto che limitarsi a tracciare la rotta di chi viaggia in luoghi esotici con un occhio di riguardo alle ricadute del viaggio, questi ‘media’ devono far riflettere sulle nostre responsabilità di cittadini globali ed educarci ad esercitare il potere della scelta quotidianamente. Altrimenti si rischia di rendere scontata l’idea che i locali ‘da sviluppare’ esistano principalmente per uso e consumo dei turisti.

Ancora una volta ‘un’idea del Nord per il Nord’ che, denuncia Aime, rischia di rafforzare un immaginario eurocentrico che condiziona la percezione dell’altro, perpetuando così ‘l’incontro mancato’.

 

Importante dunque riconoscere che il turismo responsabile gioca un ruolo centrale all’interno dei processi e delle politiche per lo sviluppo dei territori, promuovendo integrazione sociale e inclusione, valorizzando le risorse locali, arricchendo le relazioni tra turisti e cittadini. Ed è proprio per questo motivo che l’ONU ha dichiarato il 2017 come l’Anno del Turismo Sostenibile per lo Sviluppo. Uno sviluppo turistico sostenibile significa non solo migliorare l’esperienza dei turisti che visitano una destinazione, portando ricchezza economica e culturale, ma anche migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini e i rapporti che questi ultimi hanno con il proprio territorio.

Lo confermano diversi studi e documenti fondamentali – dal Rapporto Brundtland, Our Common Future (1987), all’Agenda 21 per l’industria del turismo, al vertice mondiale sullo Sviluppo Sostenibile a Johannesburg (2002), che porta alla stesura della Dichiarazione di Cape Town, la quale definisce il turismo responsabile come quel tipo di viaggio che: minimizza gli impatti negativi dal punto di vista ambientale, culturale, sociale ed economico; genera maggiori benefici economici e migliora il benessere della comunità locale, potenziando le condizioni di lavoro e l’accesso all’industria; coinvolge la comunità ospitante nelle decisioni; contribuisce alla tutela dell’eredità naturale e culturale e al mantenimento della diversità; fornisce migliori esperienze ai turisti attraverso un rapporto più coinvolgente con la comunità ospitante e la comprensione della cultura locale e dei problemi ambientali; facilita la mobilità delle persone disabili; favorisce il rispetto reciproco tra turisti e locali.

 

IT.A.CÀ migranti e viaggiatori, il festival del turismo responsabile

Sono queste le riflessioni che hanno condotto tre attori della cooperazione internazionale con sede a Bologna – YODA, COSPE e NEXUS E-R – a dar vita, 10 anni or sono, a IT.A.CÀ_migranti e viaggiatori, il primo e unico Festival del turismo responsabile in Europa (www.festivalitaca.net), che coinvolge nella sua rete oltre 600 realtà locali, nazionali e internazionali.

IT.A.CÀ mira a creare opportunità di riconsiderare il viaggio non più solo come semplice vacanza, ma come un’esperienza capace di offrire una sfida, un rischio, il desiderio di conoscenza e scoperta del mondo, vicino e lontano da casa. Il viaggio responsabile, infatti, parte da casa e arriva a casa (ît a cà = sei a casa? in dialetto bolognese), una qualsiasi casa, una qualsiasi Itaca da raggiungere, dove più che la meta conta il percorso e il modo in cui ci si mette in cammino.

Da dieci anni, attraverso centinaia di eventi sparsi sul territorio nazionale, il Festival invita a riflettere, in chiave critica, sul concetto di viaggio e ospitalità, sulle migrazioni e la cittadinanza globale, sulle disuguaglianze e lo sviluppo. In maniera creativa promuove una nuova etica del turismo volta a sensibilizzare le istituzioni, i viaggiatori, l’industria e gli operatori turistici per uno sviluppo sostenibile e socialmente responsabile del territorio.

Si parte dall’idea che l’esotismo è dietro l’angolo, che per sentirsi turisti responsabili non serve partecipare a lunghi viaggi organizzati: anche il viaggiatore fai-da-te, che non ama gli itinerari prefissati, può interiorizzare i valori del rispetto e del confronto. Viceversa, il turismo è considerato come un qualcosa di quotidiano: esperienza e tensione verso l’altrove, che non si riduce ad un periodo preciso di mobilità, né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. Il viaggio comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. É come vivere in un’immobilità sospesa fra due viaggi, mescolando diversi mondi.

Nello specifico, il festival si configura sia come una rete di attori che nell’alveo del turismo responsabile interagiscono in maniera innovativa e creativa, co-progettando contenuti, metodologie di partecipazione e pratiche di comunicazione sinergiche e integrate; sia come una ‘vetrina’ promozionale degli stessi attori e della città, capace così di far emergere gli innumerevoli progetti legati al turismo sostenibile.

Il tutto avviene in ottica di condivisione, co-progettazione, dialogo, sperimentazione. IT.A.CÀ è un codice aperto e inclusivo: le date, i format, i temi, le modalità di coinvolgimento dei diversi attori, i rapporti con gli stakeholder e le istituzioni, il budget. Tutto viene deciso insieme. I territori adottano il festival perché si riconoscono nei valori, perché sentono il bisogno di riappropriarsi del proprio territorio. Di farlo dal basso e nel rispetto del genius loci, rispettando le identità e tradizioni locali, contro la pretesa di una messa in scena del territorio che non riconosca la relazione tra spettat(t)ori.

 

IT.A.CÀ approda in Salento

E lo dimostra il lavoro egregio svolto dai tanti soggetti che hanno dato vita nel febbraio 2018 alla rete IT.A.CÀ – Salento che coinvolge oltre 30 associazioni culturali locali che si occupano di turismo sostenibile, turismo accessibile e turismo responsabile.

La rete ha scelto di ospitare il Festival ne

 

l Salento dal 14 al 16 settembre 2018, impegnandosi ad organizzare ben 58 eventi dislocati in tre giorni e in tutta la provincia di Lecce: eventi di carattere divulgativo, scientifico, didattico e sportivo in maniera diffusa su tutto il territorio locale.

Coloro che propongono le cicloescursioni, escursioni a piedi e in barca, mostre fotografiche, rassegne cinematografiche, da Guagnano a Santa Maria di Leuca, sono comunità di interesse legate al luogo che hanno collaborato immaginando e praticando una valorizzazione dei propri territori, con la convinzione di trasformare l’incoming in becoming, di coniugare la sostenibilità del turismo con il benessere dei cittadini.

Per promuovere una relazione autentica con e tra la popolazione locale, e non un indicatore – come l’incoming (ovvero il flusso di turisti in entrata) – che misura in positivo anche le tante esternalità negative di un turismo che rischia di essere deportazione di massa di gruppi organizzati per spendere soldi.

Da questo punto di vista, il festival contribuisce a stimolare nuove idee e incentivare nuovi operatori culturali, a offrire esperienze diverse, a creare un pubblico più attento ad un segmento di turismo per nulla considerato, ma che può rendere molto. Direi che è una iniziativa di innovazione sociale che si può far rientrare nel nuovo civismo: cittadini attivi che trovano il tempo, l’attenzione e l’energia richiesti per partecipare.

A causa di ciò, questi cittadini virtuosi non sono rappresentativi della maggioranza ma rappresentano un’avanguardia che innesca cambiamenti strategici, e non solo tattici, con buone prassi che possono allargarsi, essere discusse e normate dalle istituzioni e diventare bene comune. Normalità. Una normalità trasformativa, che per quanto appaia un’isola tenderà poi a mettersi in rete e creare un arcipelago di comunità di luogo, dove tanti soggetti possono collaborare, trovando la propria collocazione, con progetti di vita che possono essere individuali (stili di vita, mobilità, etc.) o collettivi (sviluppo del territorio, cooperative di comunità, associazioni, etc.) e che portano il proprio contributo nella transizione verso la sostenibilità.

Si tratta di una rete di cittadini che non solo promuovono un diverso concetto di sviluppo turistico, non accettando la realtà passivamente, ma mettono in atto progetti collaborativi che producono discontinuità anche su un piano politico e culturale più vasto. Un grande laboratorio in cui ha luogo una sperimentazione a più voci su come procedere verso uno sviluppo sostenibile. Un esperimento di democrazia partecipativa, o meglio progettuale, dove non solo si discute di cosa fare, ma si fa anche ciò di cui si è discusso.

Come in altri casi di produzione di beni comuni (orti condivisi, mercati a km zero, cohousing, carpooling, mutuo aiuto per la cura, etc.), il progetto messo in atto dagli attori di IT.A.CÀ – Salento è una azione del quotidiano che non fa politica, ma si fa politica.

Partecipare per credere!

 

La vignetta del mese

Il paradiso inafferrabile di Norman Mommens

 

 

Per foto o dati riguardanti il festival IT.A.CÀ si rimanda alla pagina web del festival.

www.festivalitaca.net

 

Per informazioni su IT.A.CÀ Salento

IT.A.CÀ Salento

 

IT.A.CÀ Salento a Tricase – venerdì 14 settembre

IT.A.CÀ Salento a Tricase – sabato 15 settembre

IT.A.CÀ Salento a Tricase – domenica 16 settembre

 

IT.A.CÀ Salento a Tricase

Programma completo di IT.A.CÀ Salento – 14, 15, 16 settembre 2018

 


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